Sono Rebecca, una studentessa di medicina del 5° anno, presso l’Università di Padova. Da qualche mese ho avuto la possibilità di entrare a far parte del piccolo ma grande mondo delle Cucine Economiche Popolari, iniziando a frequentare gli ambulatori CEP con l’idea di poter affiancare i medici in una struttura diversa dall’ospedale, dove noi studenti di medicina facciamo abitualmente tirocinio.
Talvolta si pensa che il lavoro del medico sia relegato quasi prettamente in una struttura medica ospedaliera, privata o pubblica che sia, per quanto le piccole realtà ambulatoriali siano un centro di riferimento importante per la popolazione. In quest’ottica, credo dunque che il lavoro eseguito dallo staff delle CEP abbia un valore aggiunto, emergendo come punto di riferimento per una realtà importante, ma probabilmente sottostimata, di persone in difficoltà.
Durante la mia breve esperienza mi sono interfacciata con tante persone differenti, che portavano in ambulatorio non solo una condizione medica, ma anche storie personali, religioni, origini e bisogni diversi. Ho potuto valutare quanto possa essere difficile arrivare in un nuovo paese e trovarsi in difficoltà anche solo a richiedere assistenza medica, spesso nemmeno in una lingua che si padroneggia. In queste situazioni, ho capito che la prima azione importante da fare sia trovare un linguaggio comune con cui potersi capire, pur magari mettendo assieme uno strano e fantasioso pot-pourri di parole e gesti. Ho compreso quanto la comunicazione sia essenziale, e per questo quanto sia doveroso renderla più universale possibile, talvolta abbandonando anche i tanto amati tecnicismi con cui i medici spesso si esprimono.
Non credo dimenticherò più i piccoli dettagli a cui spesso si fa poca attenzione quando si misura la pressione, che però fanno la differenza, o nemmeno le domande mirate per riuscire a diagnosticare quasi prettamente in anamnesi una gastrite da Helicobacter Pylori.
Ritengo che sia un ottimo esercizio mentale cimentarsi in casi, spesso anche semplici, in un ambiente comunque con risorse limitate, che non rispecchia invece le possibilità diagnostiche ospedaliere per cui ci formano.
Ho affiancato in particolar modo il professor Realdi, che mi ha insegnato come la medicina “della vecchia scuola” sia essenziale per districarsi in ogni situazione, valutando parametro per parametro, dalla pressione agli esami del sangue, spesso senza altre indicazioni o esami diagnostici.
Spero pertanto che la mia esperienza possa continuare ancora un po’, permettendomi di entrare nel vivo della pratica medica non solo da ciò che leggo e studio dai libri, ma interfacciandomi con persone sempre nuove.