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Attività riparative alle CEP: la storia di Andrea

A marzo 2021 la Fondazione Nervo Pasini, che gestisce le Cucine economiche popolari, ha siglato una convenzione con il Tribunale di Padova affinché possano essere svolti nella struttura lavori di pubblica utilità, attività di “messa alla prova” (di cui si racconta in questa pagina) e l’affidamento in prova al servizio sociale. Finora sono state coinvolte undici persone tra cui Andrea. Ecco la sua storia:

«Sono un tipo preciso, metodico, non mi sfugge niente… di solito. Poi una sera, una delle prime in cui si poteva uscire dopo il lock-down, mi hanno fermato per guida in stato di ebbrezza. Ho abbattuto un cartello stradale. Avevo un tasso alcolemico superiore a 1,5. E questo è il motivo per cui sono qui». Andrea (nome di fantasia) ha scelto di usufruire di una modalità alternativa di definizione del processo ovvero la sospensione del processo con messa alla prova, l’attività consiste in un servizio presso le Cucine Economiche Popolari: quattro ore a settimana, 104 in tutto, a partire dallo scorso novembre, in aggiunta poi ci sono le sanzioni accessorie.

«Il giudice mi ha chiesto di trovarmi un posto dove fare i lavori di pubblica utilità. Non ho dovuto cercare lontano. Conosco una persona che opera qui come volontario e ho chiesto a lui. Ho fatto un colloquio con suor Albina e un altro operatore, ho dato la mia disponibilità, l’ho comunicata al giudice, che ha approvato i sei mesi, 4 ore a settimana. Sono seguito da un’assistente sociale. Ci sentiamo tutti i mesi, gli mando la mia busta paga, verifica se lavoro o no, se frequento regolarmente le Cucine Popolari».

Materialmente cosa fai?

«Sono di là in sala. Passo tra i tavoli, servo da bere, porto il pane, faccio le pulizie. Seguo gli ospiti quando si siedono. Sono brave persone, per la maggior parte. Abbiamo mezz’ora di tempo per pulire tutto, quindi mi porto avanti, mi organizzo, comincio dal fondo. Se chiedo a qualcuno di sedersi in un determinato posto, parlando con gentilezza, di solito mi ascolta. Poi c’è chi ha deciso diversamente e va bene, non puoi farci nulla. Di gente che viene a mangiare ce n’è di brava e di meno brava. Ho vissuto abbastanza per capire la situazione e con chi ho a che fare. Il mio compito è questo: fare le pulizie e assicurarmi che sia tutto in ordine. Non è solo compito mio, ma io faccio questo».

L’esperienza che ti ha portato a questa scelta dev’essere stata piuttosto traumatica…

«Ho faticato ad accettare quello che è successo, perché di carattere sono molto preciso, ordinato, perfino pignolo. Sono sempre a casa. Non mi capacitavo che una cosa del genere fosse successa proprio a me e questo mi dava un gran fastidio. I primi mesi del 2021 sono stati devastanti. Adesso mi sta passando. E poi se non fosse successo non avrei conosciuto questa realtà. Qualcosa di positivo c’è sempre, nella vita, qualsiasi cosa tu faccia. Capire questo mi è servito anche a confrontarmi con le persone che incontro qui. Ci parlo, se ho tempo. Mi raccontano dei loro problemi. Molti faticano a trovare casa. Ci diamo forza a vicenda».

Com’è stato l’approccio con la realtà delle Cucine?

«Il primo giorno ero un po’ spaventato perché non sapevo cosa mi aspettasse. Ma mi sono subito sentito accolto. I ragazzi mi chiamano per nome. Suor Albina anche, nonostante i volontari siano molti. A parte che ho passato tre anni della mia infanzia in un collegio di suore, se uno ti chiama per nome ti senti accolto, capisci che vede quello che fai. E io non sono il tipo che si tira indietro. Se c’è da fare, so qua. Quando a dicembre, tra le manifestazioni per i 140 anni delle Cucine popolari, c’è stata una mostra di quadri donati da artisti diversi, ne ho comprato uno, che mi piaceva. L’ho pagato in due rate».

Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

«Se non mi fosse capitato questo incidente, non avrei mai pensato che esistesse una realtà come questa, dove c’è veramente gente che non ha niente, nemmeno da mangiare. Venendo qui dentro ti rendi conto di quante persone non hanno nulla. Questi ragazzi che vengono qui a mangiare ora li vedo, mi fermo con loro, li ascolto, ci parlo. Prima, preso dal mio lavoro, che è piuttosto impegnativo, non ci facevo caso. Non mi sono mai reso conto di questa realtà. E poi le persone che lavorano qui, gli operatori, le suore, i volontari, sono tutti brave persone. Con loro mi trovo molto bene».

Ora stai per concludere la tua attività. Potrà tornare tutto come prima?

«Ho già detto a suor Albina che mi terrò il martedì, di mia spontanea volontà, per venire a dargli una mano. Finora sono venuto due volte a settimana. Ora verrò una volta soltanto, ma voglio continuare come volontario, perché mi piace. Ci si dà una mano tra di noi e diamo una mano alle suore e a tutti quelli che frequentano le Cucine. Nel complesso è stata un’esperienza molto positiva, ma è stata una cosa forzata. E ora potrò viverla da persona libera».

Madina Fabretto

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