Un progetto di ricerca per l’emanazione di linee guida e procedure, nell’ambito delle CEP. Servizi a bassa soglia e organizzazione di operatori e volontari a sostegno della vulnerabilità in sicurezza
La pandemia non ha fermato l’attività delle Cucine economiche popolari (CEP) nel suo primario servizio alle persone più bisognose e neppure nel percorso avviato fin dalla sua fondazione dalla Fondazione Nervo Pasini, titolare delle Cucine, per rivisitare, ripensare e studiare sempre nuove soluzioni per qualificare il servizio ai beneficiari, la formazione degli operatori, il rapporto con enti e territorio, senza dimenticare quei molteplici aspetti e fattori che aiutano a non ghettizzare l’immaginario collettivo quando si affrontano tematiche legate alla povertà, ai bisogni, a contesti di vulnerabilità e quindi favorire il superamento di preconcetti, individuando buone pratiche. Al centro dell’impegno della Fondazione Nervo Pasini e dell’attività delle CEP c’è sempre la persona che va considerata con rispetto e riconosciuta nella sua dignità.
In questo contesto si colloca anche il progetto triennale di studio e ricerca voluto dalla Fondazione Nervo Pasini, titolare delle Cucine economiche popolari, siglato con l’Università di Padova e più specificatamente con il Master in sicurezza e contrasto alla violenza del Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata (FISPPA, sezione di Psicologia applicata) diretto dal prof. Adriano Zamperini e coordinato dalla prof.ssa Marialuisa Menegatto.
Un progetto triennale (2020-2023) che vede la partecipazione in questa fase di tre tirocinanti (Giulia Tosoni, Mara Mezzani e Ilaria Macchitelli) e si propone l’obiettivo di emanare linee guida per le Cucine economiche popolari in relazione al contesto urbano in cui si trovano, anche relativamente a procedure di sicurezza in tutte le sue sfaccettature: degli operatori e dei beneficiari, delle strutture e del territorio.
In breve: elaborare un modello di riferimento organizzativo e di intervento che possa essere condivisibile e adatto anche ad altre realtà di bassa soglia. Procedure e linee guida, quindi, che possano aiutare a: migliorare la percezione esterna della struttura, anche rispetto a un immaginario che si crea attorno a contesti che hanno a che fare con forme e situazioni di povertà; collocare le situazioni stesse di povertà e vulnerabilità nel contesto storico oltre che urbano; favorire reti virtuose e collaborazioni tra enti, servizi e persone.
Ecco che il progetto si propone di elaborare azioni e strumenti per prevenire e gestire situazioni critiche e trovare le buone pratiche per assicurare un equilibrio tra le principali esigenze di una struttura come quella delle Cucine economiche popolari: a) tutelare i diritti umani delle persone beneficiarie dei servizi in forma accogliente e inclusiva; b) garantire una pacifica convivenza all’interno e all’estero delle strutture; c) assicurare la sicurezza dei diversi protagonisti del contesto: staff (nel caso delle Cucine operatori, suore e volontari), utenti (beneficiari dei servizi), residenti (contesto urbano in cui la struttura si colloca). Che più concretamente significa mettere a punto strategie e operatività di sicurezza interna ed esterna che riducano al minimo eventuali problematiche e garantiscano l’obiettivo primario della realtà sociale.
Come? Individuando modelli operativi di sicurezza, chiarendo funzioni e compiti dei diversi attori in campo (istituzioni comprese), favorendo le reti tra i diversi servizi presenti nel territorio, formando e sostenendo gli operatori nella gestione dei possibili conflitti, dello stress, delle relazioni di aiuto e anche nella percezione della sofferenza urbana.
In questa prima fase il progetto ha già compiuto un’attività di formazione con gli operatori e sta procedendo ora con l’analisi del contesto urbano, della percezione del territorio, dello “stigma sociale” e un’attività di ricerca sui bisogni specifici dei beneficiari.