Il Servizio sanitario delle Cucine Economiche Popolari consiste in un servizio medico, un servizio infermieristico, un servizio di distribuzione farmaci. Le Cep sono anche sede di Tirocini universitari, in collaborazione con il Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova.
Attualmente presso il servizio operano: 15 medici, di cui 5 specialisti (ginecologia, ortopedia, ORL, dermatologia, radiologia-ecografia), 7 infermieri e 2 farmacisti.
La domanda che ci si pone, al di là di considerazioni di ordine organizzativo, è come viene svolto il servizio, qual è l’approccio con i pazienti, quali sono le motivazioni della nostra presenza qui.
Possiamo dire, come medici e infermieri, di essere addetti alla riparazione di malanni del corpo: infatti noi vediamo corpi, corpi umani.
Oggi il corpo è considerato, in medicina, prevalentemente un oggetto da riparare, quando si rompe o qualcosa non funziona. Già in condizioni di normalità, anche in assenza di malattie, il corpo oggi, nella convinzione generale, è oggetto di molta cura, di attenzioni, di migliorie, di efficienze, o anche di periodici tagliandi, per renderlo sempre giovane, in forma, specie per chi giovane non è più. Infatti, nessuno vuole invecchiare, oggi!
Gli interventi di estetica spopolano, il fitness è d’obbligo. Le farmacie sono supermercati di prodotti salutari e di bellezza. Anche i disturbi più lievi non sono tollerati: si chiedono cure alternative, omeopatiche, integratori, che tanto male non fanno, anzi sono etichettati come portatori di benessere.
Nella realtà, alle Cucine vediamo CORPI, che si esprimono con poche parole, spesso difficili da decifrare, per la lingua, o per la stessa difficoltà di linguaggio, per la limitata descrizione dei disturbi, per una ridotta alfabetizzazione. La prima richiesta, che ci viene rivolta, è quella di eliminare un disturbo, indipendentemente dalla causa: dolore, bruciore, gonfiore, mal di gola, tosse, prurito: un rimedio per ogni disturbo!
Questa semplificazione richiama l’attenzione sul corpo inteso appunto come una macchina, che necessita riparazione, maggiore efficienza.
Raramente i pazienti riferiscono problemi diversi, quali, emozioni, solitudine, disagio, emarginazione, o anche espressioni che facciano riferimento a mente, spirito, anima. Si dirà che nella loro cultura, questo aspetto dell’esistenza, passa in secondo piano, perché l’urgenza è il vivere, lo stare bene.
Ma il dualismo corpo-mente, corpo-anima, corpo-spirito, è sicuramente percepito, e vissuto, soprattutto nella mentalità corrente. E’ l’espressione di una convinzione diffusa, nella nostra civiltà occidentale, progredita e benestante. Talmente diffusa, che nuovi corpi, provenienti da paesi lontani, in difficoltà o in miseria, sono visti come una minaccia, e sono rifiutati, allontanati, cacciati, o trasportati in altri paesi.
Questo dualismo, nasconde una dicotomia che dura da secoli. Una dicotomia che è anche una impostazione gerarchica, nella quale da un lato il corpo è privilegiato e prioritario nelle scelte della vita, dall’altro è posto in subordine, alla mente, all’anima, al pensiero. Così è stato, in epoche passate e, attualmente lo è, come gerarchia dello spirito rispetto al corpo, della ragione sull’emozione, del maschile sul femminile, per la mancanza di parità della donna, esclusa o sottomessa, perché considerata solo corpo. Questa separazione, questo dualismo, sembra duro a morire.
Oggi, le scienze naturali e quelle umane, e la stessa teologia, ci richiamano con grande forza all’unità del corpo, come realtà esistenziale unica, fondante il nostro vivere e, per i credenti, anche la stessa salvezza. “Il corpo è vita, e la vita non appartiene mai, in toto, al mondo fisico” (Terrin)
Nella realtà di oggi, per tornare al nostro lavoro alle Cucine, a noi si presentano dei corpi. Ma, a ben guardare, questi corpi lasciano intravedere un’esistenza, che va oltre l’apparenza, va oltre a ciò che si vede, si tocca, si ascolta, si misura.
I volti non sono sorridenti, sono spesso denutriti, segnati da fatica, insonnia, frustrazioni, carenze, Le parole sono scarse, quasi balbettate. Il problema dominante, è il dolore, spesso un dolore diffuso a tutto il corpo, con rari riferimenti a specifici settori. Il farmaco, subito richiesto, è l’antidolorifico che meglio conoscono, la tachipirina, come a ricorrere in prima istanza al farmaco che lenisce il dolore, allontana la sofferenza, che è anche disagio, malessere, appunto un male essere.
Il medico cerca di orientarsi, sulla base delle sue conoscenze scientifiche ed esperienze mediche, cerca una causa, per definire meglio una cura. Ma nel susseguirsi delle domande che il medico pone, nel tentativo di dare una spiegazione medica ai disturbi, subentrano altre domande, più specifiche, come: dove abiti, dove dormi, dove mangi, con chi vivi, hai amici, hai un lavoro, perché non impari l’italiano, perché non ti procuri il permesso di soggiorno, perché non frequenti un corso di avviamento al lavoro, ecc …
I nostri volontari non medici, alle Cucine, ben conoscono questi bisogni, e sono bravi e pazienti nel trovare risposte e indicazioni per tutti.
A queste domande, i nostri ospiti non rispondono nell’immediato, allargano le braccia, come per un fatalismo, ma, dopo alcune esitazioni , ritorna a poco, a poco, la parola, e all’ascolto si aprono, si confidano, lamentano solitudine, difficoltà burocratiche, disagio, mancanze, nostalgie di parenti lontani, assenza di congiunti, rimasti nella patria di partenza, dalla quale sono fuggiti per scampare alla morte o nella ricerca di una miglior vita, si rendono partecipi, anche inconsapevolmente, dell’altra faccia della loro vita, quella che riguarda la mente, le emozioni, i pensieri, le speranze, la nostalgia.
Allora il medico realizza che non vi sono, solo, malattie da curare, ma che vi è una realtà di mancanza, da cui traspare una richiesta di prendersi cura, come richiesta di comprensione, ma anche di possibili interventi concreti, per rendere meno sofferta la permanenza in questo paese, una richiesta di solidarietà, di partecipazione a una sofferenza, che appunto non è solo del corpo fisico.
Se il prendersi cura, a occhi esterni, può essere considerato come un atto di buon cuore, di umanità, di compassione, o anche di buonismo e di paternalismo, lasciato all’iniziativa individuale, come espressione di una mal definita sensibilità, oggi questo atto rientra pienamente nel contesto di una razionalizzazione delle cure, supportata dalle scienze umane e dalle numerose discipline del pensiero e della mente.
Oggi il corpo non è più considerato come un oggetto muto, un oggetto di cui si occupano soltanto le scienze naturali, una cosa a sé, staccato dalla mente, dalle emozioni, dal pensiero. Le stesse discipline naturali e soprattutto le discipline umane (la neurologia, le neuroscienze, l’antropologia, la psicologia cognitiva, la fenomenologia, e altre) hanno definito i fondamenti dell’unità del corpo e della mente, citando Bonaccorso (Facoltà di Teologia): Tutte le attività umane, affettive e cognitive, sono attività del corpo e la mente è una parola, che serve per esprimere le capacità cognitive del corpo.
Nel corpo, hanno sede i pensieri, i sentimenti, la coscienza, la libertà. Il cervello è parte del corpo, e si interfaccia con l’ambiente esterno, attraverso il corpo. Le emozioni sono fonte e guida dei rapporti dell’organismo, con il sé e con gli altri, e sono alla base della coscienza di sé, e dei rapporti con l’altro da sé, del suo riconoscimento, e quindi anche dell’auto-riconoscimento. Pertanto, l’essere umano è sempre corpo, e l’uomo di fede è un corpo credente. Ed è il modo in cui si crede che rimanda inevitabilmente al corpo. La fede, in particolare quella cristiana, non è l’atto mentale del credente in un messaggio, ma l’atto esistenziale della reciprocità tra corpo e corpo. Grazie al corpo, la fede, la stessa fede come fiducia nell’altro, non è una scelta ideologica, ma una condivisione vitale, nella reciprocità, che ha il suo presupposto fondamentale nell’amore.
Quindi i corpi, che i medici vedono e toccano, sono corpi, nei quali sussiste, non solo una carne, ma anche una mente, una coscienza, una cultura, un divenire, che è evoluzione, nella conoscenza e nell’esistenza, e quindi anche iniziale guarigione.