loader image

Giornata mondiale dei poveri, il pensiero delle CEP

La presenza dei poveri in mezzo a noi è costante, «ma non deve indurre a un’abitudine che diventa indifferenza, bensì coinvolgere in una condivisione di vita che non ammette deleghe». Lo ha detto papa Francesco nel suo messaggio in occasione della quinta giornata mondiale dei poveri, da lui stesso istituita al termine del Giubileo della Misericordia, e che si celebra domenica prossima, 14 novembre. L’occasione dunque, dovrebbe spingere ogni cristiano a chiedersi: come mi pongo in relazione al povero? «Posso ignorarlo, snobbarlo, posso avere un atteggiamento assistenzialistico, guardarlo dall’alto o pormi al suo fianco – osserva suor Albina Zandonà, direttrice delle Cucine Economiche Popolari – Ma per stare al fianco serve compassione. Non è semplice, perché devi chiederti cosa fai per questa persona. Sentire che dai è gratificante e quindi anche mantenere il povero nella sua condizione è gratificante, ma non è educativo».

Le Cucine sono invece una realtà educativa nel senso più ampio del termine, anche per chi le frequenta come volontario. E’ un’esperienza limitata nel tempo, che insegna ad accogliere e a vedere la persona che ti sta accanto, così com’è. Suor Albina usa spesso la parola gentilezza e invita ad uscire dai propri schemi mentali. «Tutto quello che esce dai nostri schemi ci dà fastidio. Le differenze diventano sempre più problematiche. Ma se ognuno incominciasse ad avere un approccio diverso nelle relazioni con l’altro, con gesti di gentilezza, ci sarebbero meno atti di violenza e meno povertà. Quante volte emarginiamo un compagno, un vicino di casa, perfino un familiare»?

La pandemia ha inizialmente accentuato il senso di diffidenza. Lo scorso anno, si temeva che le Cucine popolari, per le persone che le frequentano, potessero essere fonte di contagio. Nei momenti peggiori un sostegno è arrivato anche dal progetto “Per Padova noi ci siamo”, promosso dal Csv con il Comune e la diocesi. Ora gli ospiti sono comunque diminuiti rispetto al periodo pre Covid, anche grazie al bando delle case Ater, che ha permesso di trovare casa una trentina di persone. «Ma la realtà dei senza dimora è difficile da controllare o regolare – spiega suor Albina – Tra le persone che vengono qui ce ne sono alcune in condizione di tale marginalità da non essere quasi sfiorate dalle difficoltà legate alla pandemia. Quello che è rimasto costante, per noi, è mettere al centro la persona con i suoi bisogni. Alla base di tutto, c’è sempre il messaggio evangelico».

Questa è la costante delle Cucine, da quando, nel 1882, Stefania Omboni le fondò con l’idea di farne “le cucine di Padova”. Da allora sono state frequentate da operai che non avevano una mensa aziendale, dai pazienti psichiatrici dopo la chiusura dei manicomi, da tossicodipendenti, da immigrati. Sempre persone in condizioni di marginalità. «Ma il bisogno più importante è quello del senso. Dobbiamo abituarci ad avere una visione più ampia delle realtà, utile non solo a chi è in strada, ma anche a tenere deste le coscienze. Per questo organizziamo i Ptco con le scuole superiori. Perché le Cucine sono un ambiente educativo e i ragazzi hanno un gran bisogno di mettersi a contatto con realtà diverse, invisibili, ma che vale la pena di conoscere. E questi ragazzi poi tornano a casa e la funzione educativa si diffonde anche ai loro genitori».

Anche in questo, le Cucine popolari rappresentano una risposta alla città e a molti dei suoi bisogni. E la città risponde. Prima della pandemia era stata organizzata la “cena sospesa”, con l’ufficio pastorale per i giovani. Riprendendo la tradizione del “caffè sospeso” napoletano, i ragazzi andavano a cena alle Cucine con il prezzo di 2,50 euro, lasciando un pasto “sospeso” per un’altra persona, e si sedevano al tavolo con gli ospiti abituali. Risposero in centinaia. «Speriamo di riprendere questa proposta – sospira suo Albina – L’idea era quella di non restare al di là dello sportello, ma di stare accanto».

Madina Fabretto