Il coraggio di cambiare: la storia di Kebe

Mi chiamo Kebe e sono nato a Dakar, in Senegal. Mio padre era un poliziotto, è morto nel 2005. Mia madre è ancora viva. Ho tre fratelli di madre, ma ho vissuto pochissimo con i miei genitori. Sono stato cresciuto da mio zio, con lui e le sue mogli, in una casa grande nella quale vivevamo come una famiglia allargata. La convivenza non è stata facile. Spesso i miei fratelli venivano a vivere con noi, spostandosi tra la capitale e i villaggi, mentre io sono sempre rimasto a Dakar.

Fin da piccolo, la mancanza dei miei genitori mi ha pesato molto. Non ne parlavo con nessuno, ma dentro di me soffrivo. Vedevo altri bambini con le loro mamme e mi chiedevo: “Dove sono i miei genitori?”. Non mi piaceva tanto la scuola, mi trovavo sempre in difficoltà, anche perché non venivo trattato bene. Ci davano troppe sberle per cercare di farci crescere. A me, invece, piaceva giocare a calcio con gli amici, scherzare, ridere.

Quando ero bambino, le relazioni con gli altri non erano sempre semplici: a volte sono stato un po’ terribile con i miei compagni, li prendevo in giro per i loro difetti, senza accorgermi che, in alcuni casi, ero davvero troppo pesante e bullo. Oggi mi rendo conto che, crescendo, sono molto cambiato. Sono diventato più riservato e non entro facilmente in confidenza con le persone, soprattutto perché faccio memoria di quell’atteggiamento negativo che avevo verso gli altri da ragazzino e che non mi piaceva. Col tempo, e attraverso le vicende della vita, ho capito che nessuno di noi è perfetto. Io stesso ho i miei difetti, la mia storia, quindi non ho il diritto di giudicare nessuno.

Durante alcuni periodi della mia vita, la povertà è stata estrema. Guardavo i miei amici che vivevano in condizioni migliori, avevano vestiti di marca e più possibilità di me. Questo mi ha spinto a fare delle scelte sbagliate. Ero un ragazzo ribelle, andavo fuori casa senza nessun controllo. Iniziai a fare cose non buone; a volte mi giustificavo con la povertà, ma col tempo mi sono chiesto: “Perché gli altri non hanno fatto le stesse cose? Perché le ho fatte solo io?”. Mi ero perso. Provai a bere, a fumare, ma fisicamente il mio corpo si rifiutava.

Ero sulla strada sbagliata: discoteche, ragazze, avevo lasciato la scuola. A dodici o tredici anni ero già entrato nel mercato nero. All’inizio la mia famiglia mi picchiava, ma alla fine non sapevano più come gestirmi, ero diventato troppo testardo. Superavo tutti i limiti e decisi di andarmene. Tornavo a casa ogni venti giorni per prendere vestiti puliti e lasciare quelli sporchi, ma vivevo da amici o, a volte, per strada. Ero giovane, vivevo una vita disordinata, ma nel mio cuore sapevo che volevo qualcosa di più.

Strada facendo, mi sono reso conto di essere un commerciante nel sangue, un venditore abile. Frequentavo gente più grande di me e vendevo qualsiasi cosa, anche roba rubata. Non me ne importava nulla. Volevo solo una vita migliore. Ma ad un certo punto, ho cominciato a riflettere. Ho visto altri della mia compagnia fare una brutta fine e ho capito che non potevo continuare su quella strada. Così, dopo due o tre anni di riflessione in Senegal, ho deciso di cambiare. Mi sono allontanato da quel giro, ma continuavo a fare qualche attività illegale per avere soldi, senza farmi notare troppo.

Ho messo da parte i soldi che guadagnavo: il mio obiettivo era arrivare in Europa per cambiare vita. I miei “colleghi” non si sono accorti di nulla, mi hanno sottovalutato perché ero giovane, così mi hanno lasciato andare. Quando avevo raccolto circa 6000 euro, nel 2001 – una cifra altissima per un ragazzo della mia età – ho preso un aereo per Parigi. Sono arrivato in Francia quando avevo quasi diciannove anni. Sono partito con il mito dell’Europa: l’idea che qui tutto fosse facile, che tutti fossero ricchi e che i soldi fossero ovunque. Ma la realtà è stata molto diversa.