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La storia di Massimo

Aveva un lavoro e una casa. Aveva. Poi con il Covid il lavoro, in Germania, l’ha perso e la casa anche. Ed è tornato in Italia, prima a Bologna da amici, poi a Padova. Per strada, ché alternative non ce n’erano. Racconta a ruota libera Massimo, padovano, 50 anni, bell’uomo dagli occhi verde bosco, senza famiglia né parenti, racconta cosa vuol dire ritrovarsi senza manco un centesimo in tasca e con un portico per camera da letto, lui abituato a una vita normale. E adesso, dopo la strada, la fatica di riabituarsi a un letto, ché avere per quattro pareti la città intera è straniante, a un certo punto ci fai l’abitudine e a vederti un tetto sopra la testa ti senti soffocare. <Quando sono tornato dalla Germania, dove ero aiuto montatore meccanico, senza più lavoro, sono stato 15 giorni da amici a Bologna, poi sono venuto a Padova, e mi sono trovato per la strada. Non sapevo niente di dove trovare da mangiare, di dove reperire una coperta, di dove lavarmi. Ho dormito mesi tra piazza Gasparotto e sotto i portici, di fronte alla chiesa della Pace, poi a metà giugno ho scoperto le Cucine popolari e ho cominciato a venire qui a mangiare>.  Continua a raccontare Massimo, nella sala d’aspetto delle Cucine in via Tommaseo, con estrema proprietà di linguaggio e con grande lucidità: <Trovarsi d’improvviso fuori. Ci si arrangia. Qualcuno mi ha regalato un sacco a pelo, a volte un vicino mi ha dato una coperta che aveva in più. La mattina nascondi la coperta in un anfratto ma stai tutto il giorno con l’ansia di non trovarla più alla sera quando ritorni. C’è solidarietà tra la gente di strada ma devi anche dormire con un occhio solo e una mano sopra le scarpe ché non le rubino e l’altra in tasca a stringere il telefonino, se ce l’hai. Perché capita che ti rubino tutto. Di solito sono i tossici. Tra di noi ci si aiuta, una sigaretta, un paio di calzini o di mutande, qualcuno che ti offre il caffè ma devi sempre stare molto attento ad associarti con le persone giuste perché là fuori è una guerra tra poveri. Per me il cambiamento è arrivato quando ho conosciuto le ragazze della Casetta Borgomagno, mi hanno fatto fare la doccia anche se non potevo pagare, perché io non ho la faccia tosta di chiedere l’elemosina. Non ce la faccio. Più tempo passi in strada e più qualcosa cambia dentro di te, manca la stima personale, io prima lavoravo e adesso non posso nemmeno pagarmi un caffè, accumuli rabbia, la strada ti logora, esplodi per niente, perché accumuli frustrazione e perché ti trattano male>. <Da due settimane- continua Massimo – ho un posto dove dormire al chiuso, dalle suore elisabettine, ma devo dire che il passaggio è stato difficile, i primi giorni non riuscivo a dormire sul materasso e mi sistemavo per terra, non ero più abituato al silenzio, ai muri, solo ora mi rendo conto che lì sono al sicuro>. E adesso? <Adesso non so quanto potrò stare in questa sistemazione, ora sto aspettando la risposta del Comune per la residenza, fondamentale per cercare lavoro e per l’assistenza medica. E per lavorare: se vivi in strada non puoi lavorare>. È in attesa Massimo di avere la residenza in via Città di Padova n. 999, l’indirizzo che viene dato ai senza casa, <voglio reintegrarmi ma senza la residenza non posso fare nulla, rimango un fantasma nel sistema. Lo saprò in gennaio, ci spero tanto>. Per ora la vita di Massimo gira attorno alla sopravvivenza, la mattina la colazione dalle elisabettine, a pranzo alla Cucine popolari, la sera il cestino che distribuisce don Albino Bizzotto dei Beati i Costruttori di pace, e il resto della giornata a trovare un posto dove stare: <Le biblioteche sono chiuse, sono stato nei parchi a leggere d’estate, e ci vado anche adesso se c’è il sole. È chiuso anche il Chiostro al Santo dove si poteva trovare rifugio. Io comunque mi sento fortunato, rimango in equilibrio, voglio riprendermi, non ho ceduto, c’è chi si mette a bere e sprofonda, perché a vivere per la strada la testa comincia a ragionare in modo sbagliato, ci vuole una grande forza di volontà per non crollare>.