Una alla volta. Delle persone, secondo Gino Strada, ci si prende cura così. Con lo stesso principio, da qualche tempo, alle Cucine Economiche Popolari si sta sperimentando un accompagnamento “personalizzato” per gli ospiti, con il supporto dei volontari. L’obiettivo è offrire un aiuto più concreto attraverso un rapporto “uno a uno”, spesso il più efficace per affrontare le situazioni più complesse. Un approccio fondato sulle relazioni personali.
“Alcune nascono spontaneamente, come quella tra me e Teresa”, racconta Lisi Rizzo, volontaria delle CEP. “Era una delle poche donne che vivevano per strada. Una dura, rispettata da tutti e molto silenziosa. All’epoca mi occupavo del guardaroba. Ci ho messo un anno a conquistare la sua fiducia. Una goccia alla volta, mettendole da parte una maglietta della sua misura, qualche piccola attenzione, e piano piano sono riuscita a fare breccia. Quando passava al guardaroba si fermava a parlare un po’. Del più e del meno. Niente di personale”.
Tutti conoscono la Terry. Gentile, ma diffidente. E ha le sue ragioni. Ha visto così tante cose che non si possono raccontare. Il suo nome completo è Teresina Santin. “Tutto è iniziato dalle Cucine – conferma –. Andavo da Lisi a prendere le cose che mi servivano e alla mensa, per circa tre anni e mezzo. Dormivo in piazza Salvemini, ma avevo sempre un occhio mezzo aperto, perché non si sa mai”. Per una bizzarra ironia, sopra il suo giaciglio c’era una scritta: Home sweet home.
“Prima, per un anno e mezzo, ero stata a Pontevigodarzere, in una casa in costruzione, poi mi hanno mandata via. Avevo il materasso, tutto quello che mi serviva. Era sempre bello pulito. Quando è arrivata la polizia municipale mi hanno detto: ‘Vuoi che ti portiamo anche la televisione?’ Certo che sì, gli ho risposto. Ma lì dentro c’erano spacciatori, c’era di tutto. Una sera hanno litigato, poi uno è venuto a chiedermi di medicarlo, perché avevo il necessario. Ma mi facevo gli affari miei. Perché io sapevo tutto, ma se avessi parlato…”. E fa un segno sulla gola con la mano.
Di quel periodo e delle Cucine, Teresa è rimasta legata a due persone: Lisi e suor Albina Zandonà. “Albina è buona come il pane. All’inizio le ho risposto male. Le ho detto: cavate quell’abito. Ma lei ha sorriso. Albina, se può, aiuta sempre”.
Poi Teresa si è ammalata. “Stavo per strada e non mi curavo, e ho il diabete. Ma come fai se ti devi fare l’insulina, che va tenuta in frigo? Non è bello stare per strada. Ho chiesto aiuto a Lisi, perché non avevo nessun altro e perché lei mi sembrava una persona buona. E infatti lo è”.
Lisi ricorda bene quel giorno. “Stava malissimo. Faceva molto freddo. Quindi sono andata a prenderla e l’ho accompagnata in un albergo, dov’è rimasta una settimana, grazie al contributo mio, di un’altra persona e di una colletta che ho fatto al lavoro. Non sapevo come muovermi. L’ho portata al Pronto Soccorso, dove non è stata trattata bene, poi alla casa di cura di Abano, dove invece abbiamo trovato personale gentilissimo, che l’ha presa in cura. Il diabete le aveva provocato problemi cutanei che richiedevano medicazioni quotidiane e in più doveva prendere farmaci. La accompagnavo tutti i giorni. E da lì si è mossa una catena. Con l’aiuto di una persona dell’unità di strada, siamo riusciti a convincerla a rivolgersi ai servizi sociali, dei quali non si fidava”.
Teresa è stata poi inserita nella Casa a Colori, che offre stanze durante l’emergenza freddo. La sua permanenza è stata prolungata finché è riuscita ad entrare in una casa famiglia, dove vive da tre anni, in attesa di una casa popolare. Nel frattempo, da quell’emergenza è nato un legame profondo, destinato a durare nel tempo. “Teresa mi aveva colpito per la sua durezza”, racconta Lisi. “Ma conoscendola ho capito che è una persona di gran cuore, tanto che continuiamo a vederci. È nata una vera amicizia. Viene spesso a casa mia. Dato che adora i cani, e io ne ho due che sono innamorati di lei, quando vado in vacanza sta da me”. Avere una casa dove poter tenere un cane è il suo sogno. “Sono in lista. Arriverà. Vorrei una stanza, con un cagnetto. Qui non ne posso tenere. Ce l’avevo un cane, ma non potevo fargli fare la vita che facevo io”. E poi una lunga storia di infanzia rubata, di torti subiti, di dolori immensi e di una speranza tenace, più forte di tutto il resto.