Due anniversari importanti, che esaltano una collaborazione positiva, nel rispetto dei reciproci ruoli, ma con un obiettivo comune: generare contesti inclusivi. Con questo proposito, l’Università di Padova, con i suoi ottocento anni, e in particolare il dipartimento Fisppa, Sezione di Psicologia Applicata e le Cucine Economiche Popolari, per il quarto appuntamento nel programma per i loro 140 anni, hanno organizzato il convegno “Sofferenza urbana e cura sociale: traiettorie per generare contesti inclusivi”, svoltosi sabato 18 dicembre nella sede della Scuola di Psicologia. L’incontro è stato introdotto da Laura Nota, professoressa ordinaria di Psicologia dello sviluppo e psicologia dell’educazione, delegata del rettore per l’inclusione e la disabilità. Evidenziando il contesto, il vescovo di Padova, mons. Claudio Cipolla, ha concluso il suo saluto con le parole: «Siamo qui per imparare». Sono seguiti i saluti dell’assessore comunale Margherita Colonnello, che ha messo l’accento sul valore del volontariato, di Egidio Robusto, direttore del Fisppa, che ha sottolineato l’incontro tra attività di formazione e ricerca e la sua trasformazione a livello sociale, di Mirella Zambello, presidente dell’Ordine degli assistenti sociali del Veneto, che si è soffermata sull’importanza di lavorare in un’ottica di coprogrammazione e coprogettazione, e il prefetto di Padova Raffaele Grassi, che ha auspicato «interventi di rete per generare contesti inclusivi» e ha ringraziato le Cucine per quello che fanno, «segno di un’umanità in cammino che le istituzioni dello Stato sempre appoggeranno, nella convinzione che non ci siano diritti senza solidarietà». E quello che fanno le Cucine è stato così così sintetizzato da suor Albina: «Cerchiamo di stare in un atteggiamento di accoglienza, con uno sguardo di benevolenza».
I lavori sono entrati nel vivo con la prima sessione, dedicata al tema “Promuovere società inclusive ed eque”, introdotto da Laura Nota e Sara Santilli, ricercatrice Fisppa, che si sono soffermate sul concetto di vulnerabilità. «Un costrutto complesso – ha detto Nota – di cui è meglio parlare al plurale. C’è la vulnerabilità economica, quella psicologica, genetica e sociale. E ancora, c’è la vulnerabilità climatica, ambientale, ecologica e sanitaria e l’elenco potrebbe essere più lungo. Fenomeni complessi, e interagenti, richiedono strumenti sempre più raffinati, perché abbiamo a che fare con una società vulnerabilizzante». Sara Santilli ha quindi illustrato una ricerca sul coraggio condotta su giovani tra 19 e 27 anni e sull’importanza di sviluppare una didattica inclusiva. Il professor Arrigo Opocher, del dipartimento di Scienze economiche e aziendali Marco Fanno, ha esaminato la fragilità economica con particolare interesse alle persone senza fissa dimora. «Solo recentemente la comunità scientifica ha messo a fuoco questo argomento – ha osservato – Ora sappiamo tracciare un profilo della persona che si trova in condizioni disagiate, ma non sappiamo rispondere a una domanda: cosa regola le probabilità che questa persona si aggiunga al novero dei senza fissa dimora?». Nel rispondere a questa domanda il mondo del volontariato ha un ruolo fondamentale, anzi, «un doppio ruolo: aiutare queste persone e aiutare la comunità scientifica a comprendere questo fenomeno». Tra i fattori di rischio, ne sono stati così messi a fuoco due: la rottura dei legami familiari e il numero di persone amiche sulle quali contare, anche nell’ambito stesso dei senza fissa dimora. Il professor Marco Mascia, presidente del Centro Antonio Papisca, ha messo in luce il ruolo delle Cucine come fonte si sicurezza centrata sulla persona e sulla comunità: «Sono un esempio di come realizzare forme di dialogo interculturale, in grado di sviluppare espressioni culturali condivise. Le Cep ci indicano la via per costruire comunità inclusive. Sono un esempio di pace positiva». Il ruolo del contesto urbano, come il più significativo per sviluppare politiche che possano mitigare le condizioni di disuguaglianza è stato approfondito dalla professoressa Chiara Mazzoleni, della Iuav di Venezia, che ha portato il caso di Amburgo come esempio di sperimentazione nel campo del welfare. Infine, per sviluppare contesti inclusivi e favorire la vicinanza sociale bisogna abbattere gli stigmi, i pregiudizi e gli stereotipi. Ne hanno parlato Stefania Mannarini, dell’università di Padova, e i giornalisti Monica Andolfatto e Roberto Reale.
Il primo stigma da abbattere è quello ambientale. Lo ha sottolineato Adriano Zamperini, professore di Psicologia sociale, introducendo la seconda parte dei lavori, dedicata al tema “Comunità attente, coinvolgenti, che si prendono cura”. Ecco allora come l’attività di volontariato, oltre alla funzione di pubblica utilità e di crescita personale «ha una funzione in più: la formazione lenta, che ha un carattere generativo. Un’esperienza che non va verso la tolleranza, ma verso la condivisione». Silvana Bortolami, nel CdA della Fondazione Nervo Pasini, ha parlato delle comunità educanti, all’interno delle quali «tutti sono responsabili del ruolo educante e le Cucine ne sono un ottimo esempio». Sonia Mazzon, coordinatrice del Servizio sviluppo e inclusione sociale del Comune di Padova ha parlato del lavoro sociale nel contesto di sofferenza urbana, soffermandosi sui progetti Ria e Puc. Marialuisa Menegatto, del Fisppa, ha approfondito il concetto di giustizia ambientale, insieme a Elisabetta Donadello, attivista, che ha parlato della propria battaglia per avere risposte certe sui livelli di contaminazione da Pfas nel sangue dei figli.
Nel concludere l’incontro, don Luca Facco, presidente della Fondazione Nervo Pasini, ha ringraziato tutti i relatori e i presenti. «Oggi abbiamo fatto scuola di politica – ha sottolineato – parlando di argomenti molto concreti, grazie alla collaborazione con l’Università, che esiste da anni, perché vogliamo formarci e continuare ad essere una risorsa per una zona della città che sappiamo essere sfidante, come quella della stazione. Nel prossimo appuntamento ci rivolgeremo al mondo economico, parlando del volontariato d’impresa. Intendiamo offrire un’opportunità formativa, offrendo ai manager soft skill relazionali per la gestione dei conflitti».
Madina Fabretto