Un fisico asciutto e nervoso. Due occhi profondi e inquieti, del colore del cielo in certe mattine invernali. Ugo Palamidessi è approdato alle Cucine Economiche Popolari dopo un percorso di vita non proprio semplice per svolgere un Puc come percettore di reddito di cittadinanza. «Mi ha telefonato l’assistente sociale per propormi questo progetto. Sono venuto per un colloquio, con suor Albina, due assistenti sociali e uno della cooperativa. Mi hanno spiegato come funzionano le cose, che tipo di lavoro avrei dovuto fare. Ero molto motivato perché da un po’ di tempo ero a casa. Cercavo lavoro, provavo in tutti i modi, ma non mi si apriva nessuna porta e alla fine mi stavo scoraggiando, anche perché il reddito viene dalle persone che pagano le tasse e non è giusto stare a casa. Dopo un paio di giorni dal colloquio mi hanno chiamato per dirmi che avevano accettato la mia proposta».
Conoscevi già le Cucine Economiche Popolari?
«Sono nato poco lontano da qui, a San Bellino, quindi le conoscevo fin da quando c’era suor Lia e ci passavo davanti tornando dal lavoro. Le vedevo dall’esterno. Mi ero sono fatto un’idea, ovviamente non bella, ma positiva perché vedevo la gente che veniva aiutata. Ho avuto delle esperienze che mi hanno messo in contatto con il disagio. A vent’anni avevo già perso mio padre e mia madre. Adesso questa realtà la vedo dal di dentro, mettendomi in gioco, partecipando».
Come è cambiata la tua vita?
«Ero caduto in una sorta di apatia, perché non trovavo lavoro e non avevo nemmeno il motivo per uscire di casa. Questa per me è stata una rampa di lancio. Vivo da solo con due cani, Lampo e Cris. Due amstaff. Sono loro che mi fanno compagnia. Non ho mai trovato la donna giusta. Forse è meglio così, ma nella mia vita c’è un vuoto, anche perché l’affettività, se ti manca a vent’anni, e ti manca, la cerchi in qualcuno e io l’ho cercata spesso nelle persone sbagliate. Ho due sorelle e sono zio di due nipotine e questo ruolo per me è una fonte di grande soddisfazione. Con le mie sorelle vado d’accordissimo, adesso, perché non sempre hanno condiviso le mie scelte. Ora mi vedono diverso da prima, quando non facevo nulla né per me né per gli altri».
Che lavoro hai fatto in passato?
«Ho fatto il fabbro, il muratore, il carpentiere, il magazziniere. Appena sono uscito dalle medie sono entrato in fabbrica. Mettevo i due terzi in casa. Una volta si faceva così, per contribuire al mantenimento della famiglia. Poi ho lavorato un periodo con mio papà, però non andavamo d’accordo. E’ sempre stato un uomo di carattere. Forte. Sono cresciuto con un’educazione tosta perché usava il bastone e la cinghia. O ti mandava a letto senza mangiare. Era molto rigido. Ci siamo allontanati. È come una sfida. C’è chi si rivolta, io invece lo sfidavo. E’ come fanno i cani, due maschi dominanti. Prima o poi qualcuno si fa male ed è sempre il più debole. Mia madre invece era un angelo. Prendeva le difese di tutti anche quando stava già male. Faceva l’infermiera. È morta a 52 anni e mio papà a 53. Io sono ancora qua. Devo avere un angelo custode che mi protegge».
Qui alle Cucine cosa fai?
«Faccio il jolly, dalle pulizie alla cucina, lavo i piatti, il pavimento, curo le piante, uso il flessibile. Non mi hanno cambiato economicamente. Il lavoro lo sto ancora cercandolo, ma non è facile. Cercano ragazzi giovani, o persone con titoli di studio. Io ho la terza media, non ho competenze informatiche e non ho la patente. Ma sono in grado di fare parecchi lavori, anche per quello che ho fatto in passato. Ho sempre “la ruota di scorta”. Sono ingegnoso. Anche qui, se c’è qualche problema, mi ingegno per sistemare le cose. È bello perché ti senti ancora più partecipe. Mi dà un senso. Ora c’è qualcosa che mi dà uno stimolo, una motivazione. Mi sono sentito accolto, tantissimo. Anche se suor Albina ogni tanto mi provoca, però lo fa con il sorriso. Mi brontola, dice che parlo sempre. All’inizio ero un pesce fuor d’acqua poi piano piano mi sono lasciato andare. Ho cercato di aggiungere sempre qualcosa di più, perché so che posso dare tanto. Anche se non è sempre facile. C’è tutto il mondo, ci sono persone in difficoltà e vorresti fare di più. Sai che è difficile perché ci sei passato anche tu in certe situazioni. Io ringrazio sempre che ho avuto delle sorelle. Qui c’è chi non ha nessuno. Ma riesco a nascondere i miei pensieri ridendo e scherzando. Nel lavoro, comunicare è la cosa più bella. E’ come la musica. Fa bene».
Madina Fabretto