Da tre anni, le Cucine Economiche Popolari collaborano con l’Università di Padova per offrire agli studenti del Corso di Medicina e Chirurgia – International Course of Medicine and Surgery la possibilità di svolgere un periodo di tirocinio presso gli ambulatori della struttura. Questa esperienza, nata grazie a una convenzione firmata nel 2019, rappresenta un’opportunità unica per i futuri medici, che possono così confrontarsi con un contesto clinico diverso da quello ospedaliero, più diretto e meno convenzionale, ma altrettanto significativo dal punto di vista formativo.
Il progetto nasce con l’obiettivo di sviluppare competenze cliniche e relazionali in un ambiente dedicato a persone vulnerabili, come senza dimora, migranti irregolari e individui in situazioni di grave difficoltà economica. In questi contesti, i futuri medici possono sperimentare un approccio che va oltre la dimensione tecnica e si concentra sull’ascolto, la comprensione e la costruzione di relazioni di fiducia.
L’esperienza presso le Cep consente quindi di acquisire un metodo di approccio al paziente basato su caratteristiche bio-psico-sociali, arricchito dall’incontro con persone che portano con sé non solo sintomi fisici, ma anche storie personali, paure e spesso un forte desiderio di riscatto.
Quando il camice incontra l’umanità
Tra i cinque studenti che finora hanno svolto il loro percorso di tirocinio presso le Cep nel 2025, Francesca Calò ha condiviso una riflessione particolarmente intensa:
“L’esperienza di tirocinio come studentessa di medicina presso l’ambulatorio delle Cucine Popolari è stata per me estremamente significativa, sia dal punto di vista formativo che umano. Mi ha permesso di mettere in pratica ciò che studio ogni giorno, ma anche di confrontarmi con una realtà diversa, un ambiente clinico non convenzionale ma profondamente istruttivo. È stata un’occasione per imparare non solo sul piano medico, ma anche su quello personale. Incontrare i pazienti in un contesto così diverso da quello ospedaliero mi ha aiutato a capire meglio cosa significhi davvero prendersi cura di qualcuno. È stato un modo concreto per avvicinarmi a quel motivo che mi ha spinta, fin dall’inizio, a scegliere la medicina: aiutare le persone. E questa esperienza mi ha ricordato quanto sia importante non perdere mai di vista questo obiettivo, anche durante un percorso universitario intenso e a volte molto tecnico.”
Francesca ha poi sottolineato come questa esperienza abbia rafforzato in lei la consapevolezza che il volontariato non è solo un modo per aiutare gli altri, ma anche un gesto di cura verso se stessi:
“Il corso di Medicina in inglese mi ha permesso di entrare in contatto con questo ambiente che fa riflettere su come il volontariato non sia solo un modo per aiutare gli altri, ma anche un gesto di cura verso se stessi, un’occasione per coltivare il proprio animo. È un’esperienza che insegna il rispetto, l’ascolto, la pazienza… qualità fondamentali per chi vuole diventare un buon medico.”
E proprio grazie a questo percorso, Francesca ha deciso di ampliare ulteriormente i propri orizzonti, organizzando un mese di volontariato in Tanzania durante la pausa estiva tra gli esami e l’inizio delle lezioni:
“Cep è stato il mio primo contatto con il mondo del volontariato sanitario, e grazie a questo stimolo ho deciso di proseguire su questa strada. Esperienze come queste fanno davvero la differenza nella formazione di uno studente di medicina. Ti insegnano a guardare oltre i libri ed a vedere le persone prima della malattia, costruendo giorno dopo giorno, non solo una professionalità, ma anche un modo più consapevole e umano di essere medico.”
Formazione e umanità: due facce della stessa medaglia
Esperienze come quella vissuta da Francesca dimostrano che la formazione medica non si costruisce solo sui manuali, ma anche attraverso il confronto diretto con la realtà, con le sue sfide, le sue incertezze e le sue profonde implicazioni umane. Non si tratta solo di acquisire competenze tecniche, ma di sviluppare quella capacità di ascolto e comprensione che permette di vedere la persona prima della malattia, di instaurare relazioni di fiducia e di riconoscere la dignità dell’altro. In un’epoca in cui la tecnologia sta trasformando rapidamente la pratica medica, questi percorsi ci ricordano che il cuore della cura resta l’incontro umano. Per gli studenti come Francesca, queste esperienze rappresentano un momento di crescita personale, che lascia un segno profondo e spesso duraturo. Sono momenti che trasformano, che insegnano a guardare oltre le diagnosi, oltre i sintomi, oltre le statistiche, per incontrare davvero la persona che sta dall’altra parte del camice.